Le Piantagioni di Cacao in Africa: Un'Analisi Approfondita

L'industria del cacao in Africa riveste un ruolo di primaria importanza per l'economia del continente, ma è altresì caratterizzata da problematiche significative che richiedono un'attenta analisi. Lo sfruttamento del lavoro minorile, la deforestazione, la monocoltura e la ricerca del profitto sono solo alcune delle criticità che affliggono questo settore.

Il Peso Economico del Cacao Africano

L'industria del cacao genera annualmente oltre 100 miliardi di dollari, ma paradossalmente non riesce a eliminare lo sfruttamento del lavoro minorile dalle proprie filiere di approvvigionamento. I contadini, che rappresentano l'anello iniziale della catena, percepiscono retribuzioni esigue. Non stupisce quindi il dato diffuso dall’agenzia Ecofin, secondo cui i paesi africani produttori di cacao nel 2016 e 2017 hanno assicurato il 75% della produzione mondiale, ottenendo però in cambio solo il 6% dei profitti realizzati dall’industria del cioccolato.

La Dominazione dell'Africa Occidentale

Oggi l’Africa produce la stragrande maggioranza del cacao mondiale. Solo quattro paesi dell’Africa occidentale rappresentano circa il 65% della produzione mondiale di cacao: Costa d’Avorio (38%), Ghana (12%), Nigeria (7%) e Camerun (7%). Oltre il 70% della produzione mondiale di cacao è concentrata nel continente africano, con l’Africa occidentale al centro. L’Africa ha prodotto oltre 3,1 milioni di tonnellate metriche di fave di cacao nella stagione 2023/2024. La sola Costa d’Avorio ha fornito oltre 1,8 milioni di tonnellate, consolidando il suo status di principale produttore mondiale di cacao, di gran lunga superiore a tutti gli altri.

Il ruolo fondamentale della regione nell’economia mondiale del cacao la rende una zona ad alto rischio e ad alto impatto. Quando i raccolti falliscono qui, il mondo intero ne risente. Il Sud America, d’altra parte, è una fonte secondaria di cacao. L’Ecuador produce il 10% del totale mondiale, mentre il Brasile contribuisce con circa il 4%. Queste cifre, sebbene significative, sono insufficienti a compensare le carenze dell’Africa occidentale negli anni di scarso raccolto.

Prospettive Future

La nuova stima dell’ICCO di un surplus per la stagione 2024/2025 incoraggia un cauto ottimismo. Se il raccolto andrà come previsto, l’offerta globale potrebbe stabilizzarsi e i prezzi potrebbero iniziare a tornare ai livelli normali. Questa sarebbe una notizia gradita per i produttori di cioccolato europei dopo un anno di costi imprevedibili e turbolenze nella catena di approvvigionamento. Tuttavia, gli esperti avvertono che il mercato del cacao rimane debole.

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Lo Sfruttamento degli Agricoltori e il Lavoro Minorile

Lo sfruttamento degli agricoltori di cacao in Africa è un problema diffuso e complesso. I grandi produttori di cioccolato e le società di trading spesso acquistano il cacao da intermediari che non garantiscono un prezzo equo ai coltivatori di cacao. Per diminuire ancor di più i costi vengono in molti casi impiegati bambini, trasformati in veri e propri schiavi. Si stima che circa 2,1 milioni di bambini siano coinvolti nell’industria del cacao in Africa occidentale, principalmente in Costa d’Avorio e Ghana. Le aziende che operano nella filiera del cacao hanno la responsabilità di garantire che il loro prodotto non sia stato prodotto con il lavoro minorile.

I coltivatori e le loro famiglie non riescono nemmeno a ricavarne un reddito di sussistenza e la povertà rimane la causa di tutti i problemi del settore del cacao. Piccol3 coltivator3 di cacao denunciano la mancanza di infrastrutture come uno dei problemi principali, insieme alla mancanza di accesso ad acqua potabile, elettricità e assistenza sanitaria. La situazione economica e sociale determina un basso livello di istruzione delle famiglie assieme ad un’ulteriore problematica molto comune all’intero settore: il lavoro minorile. Inoltre, in Costa d’Avorio il grande raccolto di cacao cade spesso all’inizio dell’anno scolastico. Il cacao viene piantato, raccolto e lavorato a mano, con condizioni di lavoro pericolose, insalubri e precarie nelle piantagioni.

La Disuguaglianza di Genere

La disuguaglianza di genere determina ostacoli per le donne, il cui essenziale lavoro nelle piantagioni di cacao è spesso non retribuito. Sono escluse dall’accesso legale alla terra e ciò impedisce loro di diventare proprietarie anche di piccole aziende agricole e di entrare in cooperative.

Deforestazione e Impatto Ambientale

In Costa d’Avorio e in Ghana si sono persi migliaia ettari di foreste per far posto alle piantagioni di cacao. La Costa d’Avorio un tempo vantava uno dei più alti tassi di biodiversità in Africa, con migliaia di specie endemiche. Il processo di deforestazione per il cacao inizia con i coloni che invadono parchi e altre aree boschive.

Dopo circa un anno dalle dichiarazioni di un cambio di rotta da parte di multinazionali come Nestlé, Mars, Hershey, Godiva nulla sembra essere cambiato. Anzi, l’inchiesta promossa dall’Ong Mighty Earth dimostra proprio il contrario. La Costa d’Avorio rimane la nazione più colpita da questo drammatico fenomeno: basti pensare che nel solo anno 2017, nella zona sud occidentale del Paese si sono persi circa 14mila ettari di foresta. Uno scempio sostenuto più o meno direttamente sia dal governo ivoriano.

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La distruzione delle antiche foreste causa la perdita di biodiversità e il rischio di estinzione di molte specie animali. Quegli ecosistemi abitati da scimpanzé, leopardi, ippopotami ed elefanti vengono alterati e ridotti a tal punto che la fauna scompare. Le foreste muoiono e con esse gli esseri viventi che le popolano. Secondo stime realistiche, se la coltivazione di cacao continuerà a questo ritmo, entro il 2024, cioè soltanto fra cinque anni, intere foreste dell’Africa occidentale scompariranno. Per questo l’industria del cioccolato sta già diversificando lo sfruttamento di altre terre esportando altrove il modello agricolo-industriale non sostenibile e distruttivo adottato in Costa d’Avorio.

Impatto Climatico

Per quanto riguarda l’ambiente, un circolo vizioso è in atto e condizioni climatiche estreme stanno influenzando la produzione di cacao. Sia l’impatto del fenomeno climatico El Niño e le piogge eccessive che nel 2023 hanno colpito Costa d’Avorio e Ghana, hanno determinato l’insorgere di malattie delle piante che ne hanno danneggiato i baccelli di cacao. Storicamente coltivator3 tendono ad abbandonare vecchie terre per avviarne di nuove nelle foreste che però stanno scomparendo minacciando la biodiversità e alimentando il cambiamento climatico. Le piantagioni vengono impiantate anche in aree protette a causa della mancanza di alternative. “Quando contadin3 devono scegliere tra sfamare le loro famiglie, mandarle a scuola o tagliare gli alberi… non hanno davvero scelta.

Il Caso di Sao Tomé e Príncipe

Terre in origine disabitate, la storia di Sao Tomé e Principe comincia nel XVI secolo ed è indissolubilmente legata alla tratta negriera e alla creazione delle vaste piantagioni portoghesi, dapprima di canna da zucchero, successivamente di caffè e cacao. Innestando le prime fave provenienti dal Brasile nel XIX secolo, su una terra vulcanica umida e generosa, i portoghesi ottennero una qualità di cacao estremamente superiore, ricercata ancora oggi dal mercato internazionale e base dell’economia di Sao Tomè.

Se inizialmente questo arcipelago era un avamposto militare per il controllo e lo smistamento della tratta negriera, con la creazione delle roças (piantagioni),divenne il secondo approdo mondiale di schiavi provenienti dal Congo e dal Golfo di Guinea, deportati a popolare queste isole disabitate e lavorarne la terra. A questi si unirono i dirigenti stessi e i portoghesi ebrei esiliati dalla madrepatria, o, successivamente all’abolizione della schiavitù, gli immigrati angolani, mozambichesi e capoverdiani in cerca di impiego nelle piantagioni.

Le Roças: Un Sistema Autosufficiente

Le roças erano veri e propri villaggi autogestiti, collegati tra loro da sentieri ancora oggi percorribili e unite al porto di Sao Tomè da una linea ferroviaria per il trasporto dei raccolti. Autosufficienti, accoglievano gli alloggi dei dirigenti, gli edifici amministrativi, i dormitori degli schiavi, i magazzini per lo stoccaggio, le fabbriche per la trasformazione e perfino chiese e ospedali.

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La roça di Agua Izé, è una delle più interessanti, ancora attiva nella coltura e trasformazione delle fave di cacao e caffè. Più a sud, sempre sulla costa orientale è la zona di Sao Joao dos Angolares, puntellata di antiche roças portoghesi. Il nome deriva da un gruppo di 200 angolani che nel XVI secolo sopravvissero al naufragio della nave che li stava deportando, riuscendo a raggiungere l’isola. Qui passarono decine di anni nascosti, per evitare di essere ridotti ai lavori forzati nei campi. Vivendo di pesca fondarono un piccolo regno sotto il Re Amadoir, che nel 1596 decise di attaccare il governo portoghese.

Un esempio magnificente a pochi chilometri dalla capitale è la roça Agostinho Neto (Rio do Ouro), la più imponente e spietata in epoca coloniale. Concepita come un vero e proprio avamposto di lavori forzati, la concessione era composta da varie zone, tra cui gli alloggi degli schiavi, che venivano separati in due quartieri differenti, uno per gli angolani e uno per i capoverdiani, al fine di poterli meglio controllare. Con l’abolizione della schiavitù la piantagione continuò a funzionare, mettendo i lavoratori sotto un contratto di facciata che tuttavia non assicurava loro alcun diritto.

Claudio Corallo e il Cacao di Qualità

Claudio Corallo, agronomo italiano, è oggi una figura centrale nel settore agricolo di Sao Tomé. Appassionato di caffè, ha rilevato da ormai trent’anni una vasta piantagione sul Monte Café (620 m). Porta di ingresso verso la zona centrale dell’isola, la più selvaggia e verde, non lontano dai giardini botanici di Bom Sucesso, dalla vetta del Pico Sao Tomè (2200 m), dal Parco Nazionale Obo e dalla verdissima roça di Bombaim, la piantagione di Nova Moca è inserita in un paesaggio idilliaco.

Ma a Sao Tomé Claudio Corallo ha scoperto anche il cacao, scovando una delle varietà più antiche, che arrivò direttamente dal Brasile nel XIX secolo. Ridando vita a questa preziosa varietà nella roça di Terreiro Velho, si dedica oggi alla trasformazione artigianale in cioccolato superiore e aromatizzato fantasiosamente, con tecniche sperimentali sempre nuove.

Verso un Futuro Sostenibile: Tracciabilità e Commercio Equo

Per fermare questa distruzione di interi habitat occorre seguire dall’inizio alla fine la filiera del cacao, occorre capire dove sono coltivate le fave di cacao, chi le coltiva e qual è l’industria che le trasforma. In pratica, il consumatore ha il diritto di conoscere la tracciabilità del prodotto che consuma. In alcuni casi la tracciabilità non è così semplice da individuare, poiché a capo di determinate attività figurano i cosiddetti “giganti invisibili”. È il caso della Cargill, grande Corporation statunitense, uno dei più grandi trasformatori di cacao al mondo.

Da decenni si chiede un aumento dei prezzi di produzione, ma le attività commerciali delle poche aziende che gestiscono il settore del cacao/cioccolato a livello mondiale non sono cambiate. Non tutte le aziende hanno ancora adottato e implementato procedure che applicano i diritti umani e la piena tracciabilità del cacao lungo tutta la loro catena globale di produzione. Questa è composta da: la produzione dei semi di cacao e quindi dalla coltivazione, raccolta, fermentazione ed essiccazione, la commercializzazione dei semi solitamente controllata da autorità di frontiera, la loro lavorazione, la produzione e distribuzione del cioccolato e la vendita a consumator3 final3. Le catene collegano i piccoli agricoltori e commercianti con le multinazionali e la volatilità dei prezzi internazionali influisce direttamente sui loro ricavi. Solo una frazione infinitamente piccola dei miliardi di dollari generati dal mercato globale della lavorazione del cacao va ai 6 milioni di coltivator3 african3i e si stima che un aumento relativamente piccolo del prezzo pagato da consumator3 final3 sarebbe sufficiente ad aumentare significativamente i redditi di coltivator3. Continuare a coltivare il cacao in queste condizioni è insostenibile.

L'Importanza del Commercio Equo e Solidale

Oggi gli accordi internazionali esistono ma vi è il bisogno di un cambiamento di sistema che deve andare nella direzione dell’aumento del reddito di coltivator3, dei diritti umani e della tutela dell’ambiente. Sebbene si parli di interessi africani, latinoamericani e asiatici, questi non sono rappresentati dalle loro organizzazioni e governi e tutto il potere decisionale si trova nelle aziende del Nord globale. Le ingiustizie storiche e gli squilibri di potere avvantaggiano ancora una volta coloro che sono gli eredi più o meno diretti della colonizzazione europea, da cui deriva l’attuale struttura del commercio e il fatto che le economie dell’Africa occidentale sono ancora oggi basate su colture da reddito.

Altromercato controlla l’eticità della filiera del cacao equosolidale per i suoi prodotti: lo fa direttamente nel caso di importo diretto dai produttori di cacao o attraverso i suoi partner (produttori, trasformatori, etc.) che acquistano fave di cacao sotto il controllo e la garanzia di WFTO, Organizzazione Mondiale del Commercio Equo e Solidale. Nel caso del cacao importato direttamente da Altromercato in fase d’avvio c’è una valutazione preliminare fatta dalla nostra Unità Cooperazione e Acquisti: si tratta di una valutazione etica, commerciale e qualitativa che serve per capire se c’è spazio per iniziare una relazione commerciale. Dopo il secondo ordine confermato di materia prima o del prodotto, il produttore viene valutato dal Comitato di Valutazione Etica Altromercato - organo dotato di autonomia e con funzione di vigilanza etica su prodotti e produttori - che effettua direttamente la visita. Il controllo di filiera Altromercato è coerente con la scelta di far parte di un sistema di garanzia formalizzato. Le regole fondanti del sistema sono definite a livello internazionale da WFTO - Organizzazione Mondiale del Commercio Equo e Solidale.

Il Ruolo del Consumatore

Ed è per questo motivo che noi consumatori abbiamo un grande potere, ogni giorno davanti al bancone del cibo abbiamo un potere enorme capace di cambiare le politiche delle multinazionali.

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