Mangiare 20 Biscotti al Giorno: Rischi e Conseguenze per la Salute

Il mondo dei biscotti confezionati è ampio e variegato, con tantissime opzioni disponibili sugli scaffali. Tuttavia, dietro la loro irresistibile dolcezza si nascondono insidie che possono avere un impatto significativo sulla nostra salute. Mangiare biscotti ogni giorno può sembrare un piacere innocuo, ma è importante comprendere come questo possa influenzare il nostro benessere. I biscotti, spesso ricchi di zucchero e grassi saturi, possono portare a effetti sia positivi che negativi sul nostro organismo. Analizzare le conseguenze di questo comportamento alimentare può aiutarci a trovare un equilibrio più salutare.

L'attrattiva dei Biscotti: Un Momento di Piacere

Iniziare la giornata con un biscotto può rappresentare un piccolo momento di gioia, un'abitudine che molti trovano confortante. I biscotti possono anche essere una fonte di carboidrati, che forniscono energia necessaria per affrontare la giornata. Inoltre, alcune varianti possono includere ingredienti come noci, semi e fiocchi d’avena, aggiungendo nutrienti e fibre utili per la digestione. Consumati in moderate quantità, i biscotti possono offrire un rapido boost di energia, ideale durante le pause al lavoro o nei momenti di svago. Uno studio condotto da un gruppo di ricercatori di Tel Aviv nel 2012, infatti, ha dimostrato che mangiare un dolcetto a inizio giornata aiuta a velocizzare il metabolismo e ad attivare più rapidamente le funzioni cerebrali.

I Rischi Nascosti Dietro la Dolcezza

Nonostante l’assunzione di carboidrati sia importantissima per il benessere del nostro organismo, deve comunque essere limitata ai bisogni nutrizionali. L’introduzione di troppi zuccheri nel nostro organismo infatti, può causare molti problemi di salute, alcuni dei quali difficili da “risolvere” dopo la loro prima comparsa.

Zuccheri Nascosti e Grassi Saturi

Uno degli aspetti più preoccupanti dei biscotti confezionati è la presenza di zuccheri aggiunti. Spesso, questi dolci sembrano innocui, ma un esame attento delle etichette nutrizionali rivela contenuti di zucchero che possono superare il 30% del totale. Questi zuccheri non solo aumentano il sapore dolce, ma contribuiscono all’eccesso di zuccheri consumati quotidianamente. In aggiunta agli zuccheri, molti biscotti contengono grassi idrogenati, sostanze spesso utilizzate per prolungare la durata di conservazione. Questi grassi, associati a un aumento del colesterolo LDL, possono avere un effetto negativo sulla salute, aumentando il rischio di malattie cardiovascolari. È fondamentale imparare a leggere le etichette nutrizionali per evitare il consumo eccessivo di questi ingredienti problematici.

Impatto sul Metabolismo e Rischio di Diabete di Tipo 2

Il consumo frequente di biscotti confezionati può influenzare in modo significativo il nostro metabolismo. Latte zuccherato in abbondanza e farine raffinate, che hanno un indice glicemico alto, possono portare a picchi glicemici repentini. Questi picchi, seguiti da altrettanto rapidi cali, possono disturbare l’equilibrio ormonale e portare a un aumento della resistenza all’insulina, che è un precursore del diabete di tipo 2.

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Studi recenti hanno mostrato come una dieta ricca di zuccheri semplici e carboidrati raffinati possa comportare un maggiore rischio di sviluppare resistenza all’insulina, aumentando così la probabilità di malattie metaboliche. In questo contesto, è chiaro che il consumo regolare di biscotti può contribuire a problematiche più gravi nel lungo termine.

Aumento di Peso e Obesità

È innegabile che uno dei risultati più evidenti dell’eccessivo consumo di biscotti confezionati sia l’aumento di peso. Le calorie facilmente digeribili provenienti da questi dolci possono rapidamente accumularsi, soprattutto se accompagnate da uno stile di vita sedentario. La loro conseguenza naturale è il rischio obesità, condizione che a sua volta è associata a diverse problematiche di salute.

Un rapporto della World Health Organization evidenzia come il consumo eccessivo di alimenti ad alta densità calorica, come i biscotti, possa portare a un aumento dell’indice di massa corporea (BMI) e a un aumento del rischio di malattie croniche. Consumare biscotti senza moderazione può quindi contribuire a un ciclo vizioso di cattive abitudini alimentari e aumento di peso.

Effetti sulla Salute Cardiovascolare e sul Colesterolo

I biscotti confezionati possono avere un impatto significativo sulla salute del cuore. Molti di questi prodotti contengono ingredienti che favoriscono un aumento del colesterolo alto, come i grassi trans e gli zuccheri. Diversi studi hanno dimostrato che una dieta ad alto contenuto di grassi trans è correlata a un maggiore rischio di malattie cardiache, poiché questi grassi alimentano l’infiammazione e il colesterolo LDL.

Un’alimentazione ricca di biscotti e cibi simili porta anche a una diminuzione dei livelli di colesterolo HDL, noto come “colesterolo buono”. La combinazione di questi fattori già predispone l’individuo a un rischio maggiore di infarto e ictus, evidenziando l’importanza di moderare il consumo di dolci confezionati.

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Infiammazione Sistemica

Nella società moderna, uno dei nemici più insidiosi della salute è l’infiammazione cronica, spesso alimentata da una dieta ricca di zuccheri e grassi di bassa qualità. I biscotti confezionati sono un esempio classico di alimenti che possono contribuire a questo problema. L’eccesso di zuccheri, in particolare, è stato collegato a risposte infiammatorie nel corpo.

Studi scientifici hanno dimostrato che il consumo di zuccheri semplici e farine raffinate può aumentare i marcatori infiammatori nel sangue. Questa infiammazione sistemica è stata associata a malattie autoimmuni, diabete e malattie cardiovascolari. Limitare il consumo di biscotti può quindi essere un passo utile nella prevenzione di queste condizioni gravi.

Carie e Salute Orale

Zuccheri e carboidrati fermentabili in genere, dopo essere stati idrolizzati dall’amilasi salivare, forniscono un substrato per l’azione dei batteri acidogeni presenti nel cavo orale (Streptococchi mutans e Lactobacilli in particolare), i quali riducono il pH della saliva e della placca, determinando la dissoluzione (demineralizzazione) della componente minerale dei tessuti dentali e favorendo l’instaurarsi della lesione cariosa.

Negli ultimi decenni, l’American Academy of Pediatric Dentistry ha introdotto la definizione di Early Childhood Caries (ECC), manifestazione precoce della malattia cariosa che si sviluppa nei bambini di età inferiore ai 6 anni, a volte anche prima del compimento dei 2 anni di vita. Si tratta di una patologia ampiamente diffusa su scala mondiale, con un’alta incidenza in Europa e in Italia. È stato dimostrato che i bambini che sviluppano ECC seguono una dieta caratterizzata da un’elevata assunzione di zuccheri liberi, specialmente sotto forma di bevande (succhi di frutta, tè dolci, soft drinks). Anche il ruolo causale delle caramelle e del ciuccio imbevuto nel miele o nello zucchero non è affatto trascurabile.

Problemi Metabolici nei Bambini

Introdurre precocemente zuccheri liberi nella loro dieta costituisce un fattore di rischio per lo sviluppo di importanti malattie già in età evolutiva. Gli zuccheri liberi comprendono i monosaccaridi (glucosio, fruttosio, galattosio) e i disaccaridi (saccarosio, lattosio, maltosio, trealosio) aggiunti negli alimenti dai produttori o dai consumatori, oltre che gli zuccheri naturalmente presenti in miele, sciroppi e succhi di frutta.

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L'eccessivo consumo di zuccheri può favorire l’instaurarsi una vera e propria malattia del metabolismo lipidico caratterizzata da un eccessivo accumulo di grasso nelle cellule epatiche: la Steatosi Epatica Non-Alcolica (NAFLD). La NAFLD ha raggiunto negli ultimi vent’anni proporzioni epidemiche anche tra i più piccoli, diventando la malattia epatica cronica pediatrica più diffusa. In Italia si stima che circa il 15% dei bambini ne sia affetto, raggiungendo l’80% tra i bambini obesi.

Inoltre, può favorire l’insorgenza di resistenza insulinica, generata da complessi meccanismi biochimici. L’iperglicemia persistente che ne deriva stimola il pancreas a secernere quantità maggiori di insulina, determinando così iperinsulinemia (Diabete Mellito di Tipo 2 o DMT2). Negli adolescenti e nei giovani adulti, il dmt2 sembra essere più aggressivo che nei soggetti adulti, dimostrando una minore risposta al trattamento convenzionale ed un più alto tasso di mortalità. Un recente studio ha dimostrato che un bambino obeso ha un rischio 4 volte maggiore di sviluppare DMT2 entro i 25 anni rispetto ad un bambino normopeso.

Come Riconoscere i Biscotti Meno Salutari e Scegliere Alternative Migliori

Essere consapevoli delle scelte alimentari è fondamentale per il benessere. Ecco alcuni consigli pratici per distinguere i biscotti più salutari:

  • Leggere le etichette nutrizionali: Controllare i contenuti di zuccheri e grassi. Preferire prodotti con meno di 5 grammi di zucchero per porzione.
  • Optare per ingredienti integrali: Scegliere biscotti che contengano farine integrali piuttosto che farine raffinate.
  • Evitare i grassi idrogenati: Evitare biscotti che elencano grassi trans tra gli ingredienti.
  • Considerare alternative salutari ai biscotti: Frutta secca, barrette di cereali o biscotti fatti in casa possono rappresentare scelte migliori.

Alternative più sane

Se si desidera ridurre l'assunzione di zuccheri e grassi saturi, ci sono diverse alternative più sane ai biscotti tradizionali.

  • Frutta fresca: La frutta è naturalmente dolce e ricca di vitamine e minerali. Una mela, una banana o una manciata di frutti di bosco possono soddisfare la voglia di dolce senza aggiungere zuccheri raffinati.

  • Yogurt greco con frutta e miele: Lo yogurt greco è ricco di proteine e può essere dolcificato con un po' di miele e frutta fresca per un dessert sano e gustoso.

  • Frutta secca e semi: Mandorle, noci, semi di chia e semi di lino sono ricchi di grassi sani, fibre e proteine. Una piccola porzione può aiutare a controllare la fame e fornire energia a lungo termine.

  • Biscotti fatti in casa con ingredienti sani: Preparare i biscotti in casa permette di controllare gli ingredienti e utilizzare alternative più sane come farina integrale, dolcificanti naturali (come stevia o eritritolo) e grassi insaturi (come olio d'oliva).

Il "Metodo Laffranchi": RIEDUCARE IL Palato

Nel libro, Laffranchi racconta e rende pratico il proprio metodo, sviluppato nei 15 anni alla Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, anche grazie al lavoro con Franco Berrino, pioniere nello studio sulla prevenzione attraverso la corretta alimentazione. Si tratta di un regime alimentare che propone 15 giorni d astensione da una serie di alimenti particolarmente infiammatori. Il fine è (ri)educare il palato e le abitudini. In questa fase della dieta è sconsigliato assumere zucchero, aspartame, bibite gassate e bevande nervine, grassi come burro, strutto e margarina, e una serie di additivi. Trascorso questo lasso di tempo, si dovrebbe notare un generale miglioramento della salute e del benessere. A questo punto si potrebbe decidere cosa reintrodurre e cosa no, con quale frequenza e cosa godersi con la giusta consapevolezza. Sempre dietro consiglio dell’esperto.

Una Ricetta Dolce a Basso Contenuto di Zuccheri

Laffranchi suggerisce poi cosa mangiare. Tra le ricette proposte ve ne sono anche di dolci, come quella dei biscotti di farina di mais e uvetta.

Ingredienti (per 4 persone): 150 g farina di mais fine, 40 g stevia, 60 g burro chiarificato, 50 g amido di riso, 20 g di bevanda di riso, sale, 30 g olio di girasole, uvetta q.b,. 1 uovo

Procedimento: In una ciotola capiente unite il burro chiarificato ammorbidito a temperatura ambiente all’olio di girasole, mescolate fino a ottenere una miscela omogenea. Unite quindi la stevia e l’uovo continuando ad amalgamare per poi aggiungere a poggia la farina di mais, l’amido di riso, un pizzico di sale e la bevanda di riso. Impastate gli ingredienti con l’aiuto delle mani. A parte tritate grossolanamente l’uvetta che verrà aggiunta per ultima al composto. Su carta da forno, precedentemente posta su una lec- carda, stendete l’impasto con l’aiuto di un mattarello fino a raggiungere lo spessore di mezzo centimetro e con un coltello ritagliatelo a quadrotti di circa 4x4 cm.

Carboidrati: Quali Scegliere?

I carboidrati vengono così chiamati poiché sono, appunto, degli idrati di carbonio. A seconda della loro struttura chimica e del grado di complessità vengono classificati in quattro categorie: monosaccaridi, disaccaridi, oligosaccaridi e polisaccaridi.

I monosaccaridi, chiamati generalmente zuccheri, rappresentano la forma più semplice dei carboidrati, dal momento che non possono essere trasformati in unità più semplici. A seconda della lunghezza della catena che li compone, i monosaccaridi sono a loro volta suddivisi in diverse categorie. I più importanti dal punto di vista nutrizionale sono gli zuccheri a cinque atomi di carbonio (come gli acidi nucleici, il ribosio e desossiribosio) o a sei (glucosio). Il glucosio è il monosaccaride più abbondante; si trova allo stato libero in tessuti e fluidi corporei e rappresenta il principale “carburante” del nostro organismo. Un altro monosaccaride noto è il fruttosio, che ha la stessa composizione del glucosio, ma con una disposizione differente degli atomi. Tutti gli altri, molti dei quali di sintesi, hanno un ridotto valore nutrizionale.

Dall’unione di due monosaccaridi nascono i disaccaridi. I più utilizzati in cucina sono il saccarosio (lo zucchero da cucina, composto da glucosio e fruttosio), il maltosio (due unità di glucosio) e il lattosio (glucosio e galattosio). Altre molecole note appartenenti a questa categoria sono il trealosio (composto da due unità di glucosio legate in maniera differente rispetto a quanto avviene per il maltosio; è usato come additivo alimentare ed è presente nei funghi) e il lattulosio (derivato del lattosio, è una molecola con azione lassativa).

Dall’unione di più monosaccaridi possono nascere anche gli oligosaccaridi, zuccheri normalmente composti da un numero di atomi di carbonio compreso tra 3 e 9. Si tratta di molecole che, per la difficoltà a legarsi ai recettori del gusto, conferiscono agli alimenti una dolcezza inferiore rispetto ai mono e ai disaccaridi. Possono derivare da vegetali, essere il prodotto della degradazione di polisaccaridi più complessi o essere stati sintetizzati in laboratorio. Queste molecole in gran parte resistono all’azione degli enzimi digestivi e passano intatte nel colon, dove trovano batteri in grado di scinderle e di produrre quantità elevate di anidride carbonica e gas. Tra gli alimenti più ricchi di oligosaccaridi troviamo alcuni legumi (come i fagioli e i piselli), cereali (per esempio il frumento) e vegetali (per esempio la cicoria, le cipolle, i carciofi).

Salendo nella scala di complessità, si arriva ai polisaccaridi (o glicani), molecole costituite da molte unità di zuccheri. A livello nutrizionale l’amido è la principale fonte di carboidrati complessi della dieta umana, ed è presente nei cereali, nei tuberi e nei legumi. Il processo di digestione di questi zuccheri inizia nella cavità orale e si completa nell’intestino tenue, grazie all’azione combinata dei succhi pancreatici e intestinali, che possono trasformare l’amido in maltosio e destrine. La digeribilità di questo polisaccaride varia a seconda della specie che lo contiene, della quantità di fibre presente nello stesso alimento e delle modalità con cui i cibi sono cotti. Di norma l’amido è costituito da una porzione che viene immediatamente digerita (nei primi 20 minuti dall’ingestione dell’alimento), una a più lenta degradazione (20-120 minuti) e una che non viene metabolizzata e dunque non rientra nella quota biodisponibile. La velocità di idrolisi dell’amido è massima per le patate e minima per le lenticchie. Più in generale, l’amido che proviene dai cereali è considerato più digeribile rispetto a quello derivante dai legumi.

Il Ruolo dei Cereali nella Nostra Dieta

La principale fonte di carboidrati è costituita dai cereali, piante erbacee appartenenti alla famiglia delle graminacee. Il loro consumo consente di preservare il controllo della glicemia e di garantire il mantenimento di un buono stato di salute intestinale, grazie anche all’apporto di fibre alimentari. Essi favoriscono inoltre un apporto adeguato di micronutrienti e antiossidanti.

I cereali di più largo consumo sono il frumento, il riso e il mais; a seguire, troviamo l’orzo, il farro, la segale e l’avena. Da essi si ricavano le farine alla base della produzione di pasta, pane, riso, prodotti da forno e preparazioni per la prima colazione, che garantiscono anche un modesto apporto (7-12%) di proteine, sebbene di modesta qualità. Analogamente ai cereali, anche i tuberi (patate, manioca, topinambur) rappresentano una fonte di amido.

Di questo gruppo di alimenti è consigliato il consumo di almeno 4-5 porzioni al giorno. Per la pasta si raccomanda che ogni porzione sia di 80 g (120 g se fresca o all’uovo); per il pane di 50 g e per le patate di 200 g. Per colazione dovrebbero bastare 2-4 biscotti (a seconda della dimensione), 2 cucchiai di cereali o 45-50 g di pane.

Perché è Preferibile Consumare Cereali Integrali?

Ogni chicco di qualsiasi cereale è costituito da tre parti distinte: la crusca esterna (ricca di fibre), il germe interno (che contiene micronutrienti) e l’endosperma (ricco di amidi). I cereali integrali comprendono tutte e tre le componenti del chicco, mentre quelli raffinati subiscono una lavorazione che elimina gli strati corticali esterni (crusca e germe). Contrariamente a quanto si può pensare, la differenza principale tra questi prodotti non riguarda il valore energetico, quanto piuttosto l’apporto in micronutrienti (minerali e vitamine) e in fibra alimentare.

I risultati di alcune ricerche hanno mostrato che i prodotti a base di cereali integrali (per il 50 per cento o più della loro composizione) sono più salutari. Un chicco integrale (anche nella versione priva degli strati più esterni della crusca) offre infatti un apporto significativo di fibre che vanno in larga parte perdute con la raffinazione. Da non trascurare la quota di polifenoli antiossidanti (acido ferulico, vitamina E, betaina, folati), di minerali (magnesio, selenio, rame) e di grassi insaturi presenti nel germe e quindi nei prodotti integrali. Il chicco intero è perciò uno “scrigno” di molecole ad alto valore biologico da preservare.

Quanto ai benefici per la salute umana, in Europa le evidenze più significative sono emerse dallo studio EPIC, a cui hanno partecipato anche diversi ricercatori sostenuti da Fondazione AIRC. Il consumo di prodotti realizzati a partire da cereali integrali aiuta a tenere sotto controllo i valori di glucosio, colesterolo e trigliceridi nel sangue. Inoltre contribuisce a mantenere un peso nella norma, grazie al maggiore senso di sazietà indotto dal consumo di cereali integrali, all’apporto di fibre (che ha effetti positivi sulla regolarità intestinale) e all’effetto di “selezione” del microbiota intestinale più favorevole.

Indice e Carico Glicemico: Cosa Sono e Perché Sono Importanti

Per aiutare a scegliere il tipo di zuccheri più conveniente da assumere, e quindi anche a discriminare fra gli alimenti che li contengono, da diversi anni è stato introdotto il cosiddetto indice glicemico. Questo indicatore esprime la percentuale di incremento della glicemia che si verifica dopo l’assunzione di porzioni di alimenti di largo consumo rispetto a quello indotto dal solo glucosio (il cui indice glicemico viene convenzionalmente fissato come pari a 100). L’indice glicemico di un alimento, pur non variando di molto se l’alimento viene ingerito da solo oppure nel contesto di un pasto misto, risente della contemporanea presenza nei cibi di grassi e di fibre. Questi, rallentando l’assorbimento dei carboidrati contenuti nel piatto, concorrono alla riduzione del valore di questo indicatore.

All’indice glicemico, più recentemente, è stato collegato un secondo metodo di valutazione del profilo nutrizionale di una pietanza: il carico glicemico. Questo valore si ottiene moltiplicando la quantità di carboidrati contenuta in una porzione di un alimento per l’indice glicemico dello stesso, e dividendo il prodotto per 100. In altre parole, l’indice glicemico sta al carico glicemico come il peso specifico di un dato materiale sta al peso di quel materiale.

L’assunzione di cibi ad alto indice glicemico (o il consumo di portate ad alto carico glicemico) comporta il rapido aumento del glucosio nel sangue, seguito da un’aumentata secrezione di insulina da parte del pancreas. Al contrario, l’assunzione di cibi a basso indice glicemico, anche a parità di apporto calorico, determina un aumento più contenuto (ma più prolungato) della glicemia, con una conseguente minore secrezione di insulina. Questa differenza può aiutare a gestire meglio il diabete di tipo 2, mentre non è ancora stato chiarito se possa influenzare anche la prevenzione di questa malattia.

Rispetto al rischio oncologico, a oggi abbiamo prove solide che ci sia una correlazione tra una dieta ad alto carico glicemico e una maggiore probabilità di sviluppare un tumore del corpo dell’utero. Ad aumentare il rischio per questo tipo di tumore sarebbero la condizione di insulino-resistenza, il diabete e l’obesità, che possono derivare da quel tipo di alimentazione. L'obesità peraltro, a prescindere dal carico glicemico dei pasti, è già di per sé un fattore di rischio per la stessa malattia.

Zuccheri e Cancro: Cosa Dice la Scienza?

L’ipotesi di una correlazione tra consumo di zuccheri e probabilità di sviluppare una neoplasia deriva dal fatto che le cellule utilizzano il glucosio come fonte energetica. Lo stesso zucchero può quindi fungere da “benzina” per la crescita dei tumori. Partendo da queste asserzioni, molti consumatori hanno iniziato a limitare in maniera significativa l’apporto di carboidrati nella dieta, fino talvolta a escluderli del tutto. Tale scelta non è salutare e, soprattutto, non riduce in alcun modo il rischio di sviluppare uno dei tumori maggiormente correlati all’alimentazione, quello del colon-retto; al contrario, riducendo l’apporto di fibre alimentari, rischia di favorirne l’insorgenza.

Fu Otto Heinrich Warburg a scoprire che le cellule che si sono evolute in un cancro traggono energia dalla cosiddetta glicolisi aerobica, un processo metabolico che porta le cellule a trasformare glucosio in lattato per trarre energia. L’attività glicolitica delle cellule tumorali può essere fino a 200 volte superiore a quella dei tessuti sani. Ma tale attività è una conseguenza della malattia, caratterizzata da una eccessiva attività delle cellule maligne, che hanno bisogno di più energia rispetto a quelle sane, e non una causa. Ragion per cui l’apporto di carboidrati attraverso la dieta non è, da questo punto di vista, come “benzina” per i tumori.

Diverso è invece il rapporto che lega il consumo di zuccheri e carboidrati, l’aumento della glicemia e dei livelli di insulina e il rischio oncologico. L’insulina è l’ormone prodotto dall’organismo in risposta all’aumento di zuccheri nel sangue (glicemia), ma regola anche altri aspetti del funzionamento dell’organismo e per questo è considerata un ormone chiave nella relazione tra cibo e cancro. Troppa insulina in circolo, per esempio, induce una produzione eccessiva di testosterone, l'ormone sessuale maschile, nella donna. Inoltre l’insulina favorisce la produzione di un fattore di crescita chiamato IGF-1, che è un vero e proprio carburante (questo sì) per le cellule in generale e in particolare per quelle cancerose. Alcuni tumori, come per esempio quello del seno, sono particolarmente sensibili all’azione combinata degli ormoni sessuali e dei fattori di crescita e risultano quindi, secondo alcuni studi, più strettamente legati al consumo di zuccheri.

A ciò occorre aggiungere che i risultati di diversi studi osservazionali hanno mostrato un chiaro legame tra l’iperinsulinemia (l’elevata presenza di insulina nel sangue) e l’aumento del rischio di tumori correlati all’obesità. Gli zuccheri che ingeriamo possono essere stoccati sotto forma di glicogeno in quantità limitate; la parte eccedente viene convertita in grassi, che possono essere conservati nello stesso spazio in maggiori quantità (non avendo bisogno di legarsi all’acqua). Questo processo determina un aumento della massa grassa e, di conseguenza, del peso corporeo, con un rischio maggiore di ammalarsi di diverse forme di cancro.

Un altro elemento fuorviante spesso presente nei consigli nutrizionali in rete riguarda la fonte degli zuccheri. Il corpo umano non distingue tra il saccarosio proveniente da una fetta di torta e quello contenuto in una carota. Così come non distingue tra il fruttosio ottenuto dalla demolizione del saccarosio e quello contenuto nella frutta. Ridurre il consumo di dolci è certamente salutare ed è un buon modo per combattere l’obesità, ma tale rinuncia non serve se poi si assume un’uguale quantità di zuccheri mangiando tantissima frutta o dolcificando il caffè con il fruttosio.

Sulla base di tutte le indicazioni fornite, si può dunque concludere che al momento non ci sono evidenze scientifiche che correlino direttamente il consumo di carboidrati al rischio di ammalarsi di cancro. Né tantomeno a quello di andare incontro a una recidiva per chi ha già avuto un tumore. Certo è invece l’effetto protettivo che le fibre alimentari, la maggior parte delle quali vengono ingerite attraverso i carboidrati, garantiscono al colon-retto. A ciò occorre aggiungere che l’organismo, in assenza degli zuccheri, demolisce le protei…

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