L'affermazione "Non han mai fatto male due fette di salame" evoca un'immagine di convivialità e tradizione italiana. Ma cosa c'è di vero in questa affermazione? Esploriamo le origini di questo detto, il suo contesto culturale e cosa dice la scienza moderna sul consumo di salumi e carni lavorate.
Origini del detto e contesto culturale
Lo spot pubblicitario dei salumi Levoni degli anni '80, con il suo slogan "Non han mai fatto male tre fette di salame!", ha contribuito a radicare questa frase nell'immaginario collettivo italiano. La pizza, simbolo del Made in Italy, si è evoluta, esaltando le materie prime e celebrando la ricchezza della gastronomia italiana, compresi i salumi.
Il prosciutto, come tutta la numerosa e gloriosa genia dei salumi della Penisola, non è solo carne suina, in questo caso la più pregiata - per esattezza la coscia- selezionata, salata, speziata e stagionata. Per gli italiani è molto di più. È un insieme di gesti, riti, tradizioni, esperimenti, ricordi personali e familiari, che conferiscono ad ogni tocco di prosciutto sostanza e valori che vanno ben oltre quelli nutritivi, già di per sé nobili e preziosi.
Il termine "prosciutto" deriva dal latino "prosciugare", indicando il processo di conservazione della carne attraverso l'asciugatura. La tradizione del prosciutto affonda le sue radici nell'antica Roma, dove la salatura e l'affumicatura erano metodi comuni per conservare la carne. Durante il Medioevo, le corporazioni regolamentavano la produzione di salumi, distinguendo tra prosciutto crudo e cotto.
Cosa dice la scienza: Rischi e benefici del consumo di carne
La carne rappresenta un'importante fonte di proteine, costituite dagli stessi amminoacidi di quelle vegetali. Tuttavia, la pericolosità delle carni rosse e lavorate per il rischio di cancro dipende sia dalle quantità sia dal modo con cui alcune componenti interagiscono con l’organismo. La lavorazione delle carni per la loro conservazione e le modalità di cottura possono modificare le molecole presenti o generarne di nuove che aumentano il rischio di sviluppare un tumore.
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Patologie associate a un eccessivo consumo di carne rossa:
Gli epidemiologi concordano sul fatto che diete ricche di proteine animali, soprattutto carni rosse e lavorate, aumentano il rischio di malattie croniche non trasmissibili come diabete, obesità, malattie cardiovascolari, renali e neurodegenerative, oltre a diverse forme di cancro e infezioni. Il rischio aumenta soprattutto per i tumori dell’apparato gastrointestinale, come il tumore del colon-retto e dello stomaco, e vi sono evidenze rispetto al rischio di sviluppare altre neoplasie, come quelle del seno, dell’ovaio, della prostata e dell’endometrio.
Nel 2015, l’International Agency for Research on Cancer (IARC) ha stabilito che la carne rossa è probabilmente cancerogena (classe 2A) e che la carne rossa lavorata (insaccati e salumi) è sicuramente cancerogena (classe 1). La classificazione di cancerogenicità non è una classificazione del livello di rischio, ma una misura del grado di fiducia che gli esperti hanno nei dati per potersi esprimere sulla cancerogenicità di una sostanza o un prodotto.
Come si studia l’associazione tra il consumo di un alimento e il rischio oncologico:
Il nesso tra alimentazione e sviluppo di una malattia si studia attraverso le indagini epidemiologiche, che osservano la frequenza di una determinata malattia all’interno di una popolazione e cercano un’eventuale correlazione con possibili fattori di rischio. Questi studi trovano associazioni tra il maggiore o minore consumo di certi cibi e l’aumento o la diminuzione delle probabilità di sviluppare una determinata malattia, ma non possono stabilire la causa di un simile effetto.
Che cosa contiene la carne rossa?
La carne contiene prevalentemente proteine, costruite nello stesso modo, tramite l’assemblaggio di venti amminoacidi uguali in tutte le specie, sia animali sia vegetali. Il colore delle carni rosse (manzo, maiale, agnello e capretto) è dato dalla presenza nei tessuti di emoglobina e mioglobina, contenenti il gruppo eme con al centro un atomo di ferro. Diversi studi indicano che il gruppo eme stimola nell’intestino la produzione di alcune sostanze cancerogene e provoca infiammazione nelle pareti intestinali.
Le carni rosse possono essere lavorate mediante essicazione, salatura o affumicatura, e conservate con additivi come nitrati, nitriti e idrocarburi policiclici aromatici. La carne contiene anche grassi, in proporzione variabile a seconda del tipo preso in considerazione.
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Quali sono i meccanismi che legano carne rossa e cancro?
L’effetto mutageno della carne rossa fresca è attribuito soprattutto alla presenza del ferro nel gruppo eme (un potente ossidante). A questo rischio concorre probabilmente anche la capacità della carne di produrre sostanze che modificano la composizione delle colonie di batteri che risiedono nell’intestino. I processi di lavorazione e conservazione aumentano il rischio di sviluppare disturbi cardiovascolari e diabete.
Quanto conta la composizione del piatto?
La cottura della carne alla griglia o in padella ha molti vantaggi, ma durante la cottura si formano anche sostanze potenzialmente tossiche e cancerogene (come le ammine eterocicliche e gli idrocarburi policiclici aromatici), in particolare all’interno della classica “crosta bruciacchiata” della carne.
Il Nutri-Score:
L’etichetta a semaforo francese chiamata Nutri-Score, realizzata per valutare la qualità nutrizionale dei prodotti alimentari, è uno strumento efficace per indirizzare i consumatori verso scelte alimentari più sane. Analisi epidemiologiche condotte in Europa hanno dimostrato che le persone abituate a consumare una quantità di alimenti con valutazioni Nutri-Score poco favorevoli hanno un rischio maggiore di cancro, oltre a un rischio più elevato di mortalità complessiva dovuta a tumori e malattie dell’apparato circolatorio, respiratorio e digerente.
Alternative alla carne:
L’eccessivo consumo di carne ha importanti effetti collaterali sull’ambiente. La FAO ha stimato che il 14% delle emissioni di gas ad effetto serra nel 2013 a livello mondiale erano dovute all’allevamento. Ridurre drasticamente il consumo di carne è un atto responsabile perché libera risorse agricole da destinare direttamente all’alimentazione umana.
Consigli per un consumo consapevole
Un consumo modesto di carni rosse non aumenta in modo sostanziale il rischio di ammalarsi di cancro in individui a basso rischio. Le persone a elevato rischio individuale (per familiarità o presenza di altre patologie) dovrebbero discutere del loro piano alimentare insieme a un medico, per valutare quanto è opportuno ridurre l’apporto di carne rossa e carni lavorate, considerando che nella carne vi sono alcuni nutrienti (come la vitamina B12, il ferro e lo zinco) che sono comunque preziosi per il benessere dell’organismo.
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Il Fondo mondiale per la ricerca sul cancro (WCRF) consiglia di limitare il consumo di carni rosse (manzo, maiale, agnello e capra) sotto i 500 grammi a settimana, e ridurre al minimo o evitare del tutto il consumo di carne conservata (affumicata, trattata o salata, o contenente conservanti chimici).