La maturazione dell'impasto è un processo fondamentale per ottenere una pizza di qualità superiore, influenzando il gusto, la consistenza e la digeribilità. Esistono diverse tecniche di maturazione, tra cui l'utilizzo di lievito di birra, lievito madre o, in alcuni casi, l'assenza di lievito. Questo articolo esplora i vantaggi e gli svantaggi della maturazione dell'impasto senza lievito, analizzando le alternative possibili e le implicazioni sul risultato finale.
Metodi di Impasto Indiretti: Biga e Poolish
Il metodo indiretto rappresenta una tecnica raffinata e complessa, apprezzata per la qualità del prodotto finito. Sebbene possa presentare sfide logistiche e richieda maggiore competenza, i suoi vantaggi sono indiscutibili.
Due esempi di metodi indiretti sono la biga e il poolish.
Biga
La biga è un pre-impasto asciutto, con una percentuale di acqua sulla farina inferiore al 50%. Questo permette una fermentazione prolungata, dalle 16 alle 48 ore, ottenuta con farina, acqua e lievito. La temperatura finale della biga al termine della miscelazione deve essere bassa, tra i 18 e i 21°C, con tempi di impastamento brevi: circa 4 minuti con una impastatrice a spirale, 5 minuti con una impastatrice a braccia tuffanti, 6-7 minuti con una forcella. Rispettando questi tempi, la consistenza non sarà liscia e omogenea, ma ruvida e grumolosa. La temperatura di fermentazione della biga varia in funzione del tempo; l'ideale per 20/24 ore è di 18°C.
Poolish
A differenza della biga, il poolish è un preimpasto liquido ottenuto da farina e acqua in quantità uguale e lievito compresso.
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L'Importanza della Lievitazione
La lievitazione riveste un'importanza fondamentale per ottenere una pizza di qualità superiore. Questa fase permette all'impasto di svilupparsi pienamente, conferendo alla pizza una consistenza leggera e soffice, nonché un sapore ricco e complesso. I lieviti naturali o il lievito di birra utilizzati durante la lievitazione contribuiscono a creare le bolle d'aria necessarie per una crosta ben alveolata e una struttura interna morbida ma elastica.
La lievitazione è il processo mediante il quale l'impasto della pizza cresce e si sviluppa grazie all'azione dei lieviti, producendo bolle d'aria che conferiscono leggerezza e morbidezza alla crosta. La scelta del tipo di lievito utilizzato - naturale, di birra o madre - influisce notevolmente sul risultato finale. L'impasto a lievitazione naturale impiega lieviti selvaggi presenti nell'ambiente e richiede più tempo per maturare, apportando complessità aromatica alla pizza. Il lievito di birra, invece, è più rapido e prevedibile, producendo una lievitazione più uniforme e controllata. Il lievito madre, derivato da una coltura batterica fermentata, aggiunge profondità di gusto e una consistenza particolarmente soffice all'impasto.
Lievitazione Lunga vs. Lievitazione Breve
La lievitazione lunga, con un tempo di riposo dell'impasto di circa 24 ore, offre notevoli vantaggi. Durante questo periodo prolungato, gli enzimi presenti nel lievito hanno il tempo di agire completamente sull'amido e sulle proteine della farina, producendo composti che conferiscono alla pizza un sapore più complesso e una consistenza morbida e leggera. Inoltre, la lunga lievitazione favorisce una migliore digeribilità dell'impasto, rendendo la pizza più leggera sullo stomaco. Le tecniche specifiche per la lievitazione lunga includono l'utilizzo di temperature controllate, generalmente più basse, per consentire una fermentazione lenta e graduale.
D'altra parte, la lievitazione breve, con un tempo di riposo dell'impasto di circa 8 ore, è una scelta più rapida e pratica per chi non dispone di molto tempo per attendere. In questo caso, è importante utilizzare una quantità leggermente maggiore di lievito per compensare il periodo di fermentazione più breve. La lievitazione breve produce comunque una pizza gustosa, ma potrebbe mancare della complessità aromatica e della leggerezza della versione a lievitazione lunga.
In entrambi i casi, sia che si opti per la lievitazione lunga o breve, la cura nel processo e la precisione nelle tecniche sono fondamentali per ottenere una pizza di qualità superiore.
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Pizza Senza Lievitazione: Un'Alternativa Rapida
La pizza senza lievitazione può essere una soluzione pratica quando si desidera preparare una pizza rapidamente o quando si ha poco tempo a disposizione.
Impasto a Base di Lievito Chimico
Si può optare per un impasto che utilizza lievito chimico (come il lievito in polvere) anziché lievito di birra o lievito madre.
Fattori Chiave per la Lievitazione
Temperatura e Umidità
La temperatura ambiente ideale per la lievitazione dell'impasto della pizza si situa generalmente tra i 24°C e i 26°C. Tuttavia, è importante adattare questa temperatura in base al tipo di lievitazione desiderata (lunga o breve) e alla quantità di lievito utilizzata. Controllare anche l'umidità dell'ambiente durante la lievitazione. Un ambiente troppo secco può rallentare la fermentazione dell'impasto.
Osservazione e Lavorazione dell'Impasto
Osservare attentamente l'impasto durante il processo di lievitazione per determinare quando è giunto il momento di procedere alla fase successiva della preparazione della pizza. Il tempo di lievitazione può variare a seconda della temperatura ambiente e delle condizioni dell'impasto. Assicurarsi di lavorare bene l'impasto per sviluppare il glutine in modo ottimale.
Lievitazione in Contesti Professionali
Pianificazione della Produzione
I professionisti della pizza devono pianificare con precisione la produzione in base ai diversi tempi di lievitazione dell'impasto. Questo richiede una conoscenza approfondita dei tempi di fermentazione e degli effetti sulle caratteristiche dell'impasto finale.
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Uso del Lievito Madre
Il lievito madre è ampiamente utilizzato dai pizzaioli professionisti per conferire alla pizza un sapore unico e complesso. L'uso del lievito madre richiede competenze specifiche nella gestione di una coltura batterica attiva e può influenzare significativamente il processo di lievitazione e il risultato finale della pizza.
Attrezzature Specializzate
I pizzaioli professionisti utilizzano attrezzature specializzate come lievitatori professionali per gestire in modo efficiente e preciso la fase di lievitazione dell'impasto. Questi lievitatori consentono di controllare la temperatura e l'umidità in modo accurato, creando le condizioni ottimali per una lievitazione uniforme e controllata.
Gestione degli Errori
La lievitazione su larga scala può presentare sfide uniche, e i professionisti devono essere in grado di identificare e risolvere rapidamente eventuali problemi che possono influenzare la qualità dell'impasto e della pizza finale. Gli errori comuni includono una lievitazione insufficiente o eccessiva, problemi di temperatura o umidità non controllati, o problemi con il lievito utilizzato. La capacità di utilizzare attrezzature specializzate e affrontare con successo gli errori di lievitazione garantisce ai professionisti della pizza la capacità di mantenere elevati standard di qualità e di soddisfare le esigenze dei clienti in un ambiente di produzione di massa.
Lievitazione in Frigo vs. Ambiente
La lievitazione in frigorifero e a temperatura ambiente sono entrambe tecniche valide con vantaggi e svantaggi distinti. La lievitazione in frigorifero è più lenta ma consente una maggiore sviluppo di aromi e una migliore gestione del tempo per chi ha una routine impegnativa. Inoltre, la lievitazione in frigorifero rallenta l'attività del lievito, consentendo una lievitazione più controllata e uniforme. D'altra parte, la lievitazione a temperatura ambiente è più rapida e può produrre risultati più immediati, ideali per chi ha bisogno di impasti pronti in tempi più brevi.
Errori Comuni e Soluzioni
Durante il processo di lievitazione, possono verificarsi diversi problemi comuni che influenzano la qualità dell'impasto e della pizza finale. Alcuni errori includono una lievitazione insufficiente o eccessiva, una temperatura ambiente non ottimale, o l'uso improprio del lievito. Per affrontare questi problemi, è importante monitorare attentamente l'impasto durante il processo di lievitazione, regolare la temperatura e l'umidità ambiente, e utilizzare la quantità corretta di lievito in base alle specifiche esigenze della ricetta. Comprendere le differenze tra la lievitazione in frigorifero e a temperatura ambiente, insieme alla capacità di individuare e correggere gli errori comuni di lievitazione, sono competenze fondamentali per ottenere impasti perfetti e pizze deliziose sia in contesti domestici che professionali.
Reologia dell'Impasto: Comprendere la Maglia Glutinica
Ogni impasto è una struttura vivente, il cui comportamento durante la fermentazione e la cottura dipende da una molteplicità di fattori chimici, fisici e meccanici. A determinarne il successo - sia in termini tecnici che gastronomici - non è soltanto la qualità della farina o la bontà del lievito, ma soprattutto l’equilibrio interno della sua maglia proteica, ossia quella rete tridimensionale responsabile della coesione e dell’elasticità dell’impasto. Questa rete si comporta come un tessuto dinamico, capace di assorbire pressioni, trattenere gas e adattarsi alla sollecitazione meccanica. La scienza che ne studia il comportamento prende il nome di reologia, e applicata all’impasto rappresenta una vera e propria grammatica della materia panaria.
In ambito enogastronomico, parlare di reologia non significa perdersi in astrazioni da laboratorio, ma comprendere come estensibilità e tenacità, le due forze antagoniste che regolano la plasticità dell’impasto, possano essere gestite consapevolmente per costruire un prodotto coerente con l’identità desiderata: una ciabatta leggera e alveolata, una pizza croccante ma morbida, un pane rustico a lunga conservazione.
Tenacità ed Estensibilità
La maglia glutinica, formata dall’unione di gliadina e glutenina in presenza di acqua e sollecitazione meccanica, si comporta come un elastomero complesso. Da un lato oppone resistenza alla trazione - la cosiddetta tenacità - dall’altro mostra capacità di allungarsi - l’estensibilità. Se l’impasto è troppo tenace, si irrigidisce, non si lascia espandere e può lacerarsi. Se è eccessivamente estensibile, perde coesione e cede al peso della fermentazione, collassando. L’arte della panificazione si gioca spesso proprio su questa sottile linea di equilibrio, che va trovata caso per caso in funzione del prodotto da realizzare.
Il Rapporto P/L
Per misurare e confrontare queste proprietà, la strumentazione scientifica ha sviluppato parametri come il rapporto P/L, derivato dalle analisi condotte con l’alveografo di Chopin. Questo strumento permette di osservare il comportamento dell’impasto quando viene gonfiato da un flusso d’aria, simulando l’espansione provocata dalla CO₂ durante la fermentazione. Il valore P rappresenta la resistenza opposta allo stiramento (quindi la tenacità), mentre L misura l’estensione massima prima della rottura (quindi l’estensibilità). Il rapporto tra i due esprime la tendenza dell’impasto a comportarsi più come una molla o più come un tessuto plastico.
Un impasto con P/L elevato, superiore a 1, è particolarmente tenace: perfetto per prodotti che necessitano di lunga maturazione o che devono sopportare farciture e sovraccarichi, ma inadatto a una fermentazione rapida. Farine con questo profilo - tipiche delle varietà ad alto contenuto proteico - richiedono gestioni attente, tempi lunghi e talvolta l’intervento del lievito madre, che grazie alla sua acidità controllata stimola l’attività delle proteasi e rilassa gradualmente la rete glutinica. All’estremo opposto troviamo impasti con P/L inferiore a 0,5, caratterizzati da elevata estensibilità ma scarsa tenuta: ideali per biscotti, frolle e prodotti da forno che non devono svilupparsi in altezza.
Fattori che Influenzano la Reologia
In laboratorio si misura, ma in bottega si modula. Ed è qui che entrano in gioco tutti quei fattori - ambientali, tecnici, gestionali - che determinano l’evoluzione dell’impasto in tempo reale. L’idratazione, per esempio, è uno degli elementi più influenti. Un impasto ad alta idratazione (oltre il 75%) risulterà inevitabilmente più estensibile, più fragile da gestire, ma potenzialmente capace di sviluppare alveoli ampi e irregolari. L’acqua, infatti, agisce da veicolo per gli enzimi e favorisce l’attività proteolitica: le proteasi, enzimi attivati anche dalla fermentazione acida del lievito madre, rompono selettivamente i legami peptidici della maglia proteica, rendendola più duttile e collaborativa. Questo spiega perché i prodotti a lunga fermentazione, come la pizza napoletana contemporanea o le ciabatte rustiche, possano essere così idratati e al tempo stesso così stabili.
Il pH dell’impasto, fortemente influenzato dalla presenza o meno di lievito madre, gioca un ruolo fondamentale nel regolare questa dinamica. In ambienti più acidi (pH tra 3,8 e 4,2), le proteasi lavorano in modo più efficiente, favorendo un rilassamento progressivo della struttura. Questo non solo migliora la lavorabilità, ma permette anche una più facile espansione durante la cottura. Si forma così la caratteristica alveolatura a ragnatela, ampia e irregolare, simbolo visivo di una fermentazione ben condotta e di una maglia glutinica che ha saputo trattenere il gas senza opporvisi troppo.
Un altro parametro spesso trascurato è la temperatura dell’impasto durante l’impastamento. Se la massa supera i 26-27°C per effetto del riscaldamento meccanico, le proteine cominciano a denaturarsi e gli enzimi a disattivarsi. Il risultato può essere un impasto apparentemente ben formato, ma che poi cede rapidamente durante la puntata o l’appretto, mostrando collassi strutturali o una lievitazione irregolare. Un impasto troppo caldo, infatti, non solo stimola eccessivamente il lievito, ma può danneggiare la maglia glutinica ancora prima che entri in piena attività fermentativa.
Alveolatura: L'Architettura Interna dell'Impasto
L’alveolatura, intesa come architettura interna dell’impasto, è il risultato visibile di tutte queste dinamiche reologiche. La disposizione, la forma e la dimensione delle bolle di gas non sono casuali, ma raccontano la storia dell’impasto: come è stato lavorato, quanto è stato idratato, quanto tempo è stato lasciato maturare, quale lievito è stato impiegato. Una fermentazione rapida (tipica dell’uso di lievito di birra in dosi elevate) produce un’alveolatura regolare ma fitta, con bolle piccole, poco comunicanti tra loro. La produzione accelerata di anidride carbonica non lascia il tempo necessario alla fusione delle bolle, né alla distensione della rete proteica. Il risultato è una mollica più compatta, spesso con un profilo aromatico più neutro.
Al contrario, una fermentazione lenta, favorita da una lievitazione a temperatura controllata o dall’impiego del lievito madre, permette alla CO₂ di accumularsi progressivamente e di migrare attraverso i canali della maglia glutinica. Le bolle iniziano a fondersi, a formare cavità più ampie e irregolari. È in questo scenario che si manifesta l’alveolatura irregolare, ampia, con pareti sottili: quella che in alcuni impasti sembra un disegno organico, simile a una ragnatela, espressione tangibile di un metabolismo armonico.
Il panificatore esperto sa leggere queste tracce e intervenire per correggere o esaltare l’architettura dell’impasto. Se desidera un prodotto più strutturato, interverrà sulla tenacità, magari riducendo l’idratazione o lavorando a temperature inferiori. Se cerca leggerezza e volume, spingerà sull’estensibilità, magari lasciando maturare l’impasto in cella per 24-48 ore o impiegando farine ad alta forza enzimatica.
In ultima analisi, la reologia non è un concetto da confinare nei manuali scientifici, ma un linguaggio che permette al panificatore di dialogare con la materia. È attraverso questo linguaggio che si costruisce la forma, la struttura e persino il gusto di un impasto. Perché ogni alveolo, ogni strappo, ogni rilassamento è il risultato di una scelta consapevole, di un gesto tecnico, di una fermentazione guidata con conoscenza e sensibilità.
Lievito Madre vs. Lievito di Birra: Un Confronto
Lievito madre vs lievito di birra è una discussione centrale nel mondo della panificazione. Un impasto lievitato, il cui volume è aumentato, raggiunge il suo apice quando ha effettuato una corretta maturazione, ovvero quando gli enzimi hanno scomposto gli zuccheri complessi in semplici.
Il lievito avvia il processo di maturazione/lievitazione. I lieviti consumano gli zuccheri e la loro proliferazione è assicurata dall'ossigeno. I Saccharomyces cerevisiae (lievito di birra) possono vivere anche in assenza di ossigeno, producendo alcol etilico e acido acetico oltre all'anidride carbonica. Da qui la necessità di ossigenare gli impasti. Il lievito madre, invece, è composto da lieviti e batteri lattici che lavorano insieme, creando un ambiente acido favorevole allo sviluppo dei lieviti. Questa acidità è la vera cifra distintiva della pasta madre, che non ha la capacità di aumentare la quantità di gas a disposizione.
Lievito Secco: La Terza Via
Il lievito secco è un lievito di birra disidratato. Contrariamente a quanto si crede, le storielle sui lieviti sono spesso esagerate. I lieviti proliferano tra i 20 e i 30°C, sono inibiti a 4°C e muoiono oltre i 58°C. La lievitazione a più di 72 ore in frigo sotto i 4°C non è sinonimo di digeribilità, poiché i lieviti sono dormienti. Il lievito di birra non è chimico, e tutti i lieviti sono naturali, anche se quello madre ha una patente più "biologica" dovuta al mito.
Vantaggi e Svantaggi del Lievito Secco
I vantaggi del lievito secco includono una shelf life lunga, la possibilità di evitare sprechi utilizzando confezioni da 100 grammi sigillate in atmosfera modificata, e la garanzia di un ceppo selezionato adatto alle lunghe fermentazioni. Questo lievito non spinge fortissimo nelle prime ore, ma regge perfettamente il tempo e la differenza si vede al momento della cottura. Inoltre, è alimentato con melassa di barbabietole italiane, un nutriente di alta qualità.
Gli svantaggi includono la necessità di utilizzare la bilancia e il cronometro, poiché il lievito secco lavora leggermente più a lungo di quello fresco.
Test sul Campo con il Lievito Secco
Un test su strada ha coinvolto tre pizzaioli che rappresentano diverse scuole di pensiero della pizza napoletana: Gino e Toto Sorbillo, Salvatore Lioniello e Giuseppe Pignalosa. Hanno preparato gli impasti utilizzando il lievito secco e hanno sfornato una delle loro pizze di primavera per un confronto sul campo.
Pizza Nonna Carolina di Gino e Toto Sorbillo
Toto Sorbillo ha spiegato che la differenza è nel motore: per il suo impasto diretto con farina biologica, a cambiare sono i tempi di lievitazione e maturazione. "La spinta è più progressiva, l'impasto risponde mantenendo la lievitazione per più tempo e ovviamente i margini per migliorare e modificare ci sono anche se questa prova al buio ha praticamente pareggiato il nostro impasto tradizionale. Lo abbiamo accudito un po' di più ma ci sta, è come un neonato".
Pizza Primavera di Giuseppe Pignalosa
Giuseppe Pignalosa ha notato che il risultato è uguale ma con una maggiore tenuta dell'impasto durante il servizio. "Una caratteristica di Nuvola che a prima vista sembra esaltata dal nuovo lievito italiano di Caputo".
Pizza Zafferana di Salvatore Lioniello
Salvatore Lioniello ha riscontrato grande facilità di utilizzo con questo lievito secco, ma ha sottolineato l'importanza di guardare e reimpostare il cronometro. "Noi lo abbiamo fatto con successo".
Conclusioni
Il test ha evidenziato che i tre cavalli di battaglia della primavera di tre pizzerie diverse per stile e ubicazione geografica non sono diventate "più chimiche" rispetto a quelle preparate con il lievito fresco. La terza via del lievito secco promette migliore gestione e maggiore stabilità.
Enzimologia e Microbiologia: La Scienza Dietro la Maturazione
Ogni impasto è una struttura vivente, il cui comportamento durante la fermentazione e la cottura dipende da una molteplicità di fattori chimici, fisici e meccanici.
Questo primo intervento è essenziale anche dal punto di vista reologico: un impasto meno viscoso, infatti, risponde meglio all’azione meccanica e consente una distribuzione più omogenea dei microrganismi.Dalle destrine generate intervengono poi le beta-amilasi, che rilasciano maltosio a partire dagli estremi delle catene. Questo disaccaride è il principale carburante per il lievito, che lo metabolizza producendo anidride carbonica, etanolo e una serie di metaboliti secondari responsabili della formazione degli aromi. Nelle fermentazioni brevi - come accade nelle tecniche dirette - questa produzione di zuccheri può essere insufficiente: il lievito consuma rapidamente ciò che trova disponibile, rallentando l’attività o, in alcuni casi, interrompendo prematuramente la fermentazione. È uno dei motivi per cui gli impasti lievitati in poche ore possono risultare sottosviluppati, privi di complessità aromatica e meno digeribili.
Diverso è il comportamento degli impasti sottoposti a fermentazione lunga o a freddo, dove l’attività delle amilasi può proseguire in modo costante e controllato. In questo contesto, l’enzimologia lavora in sinergia con la microbiologia: i batteri lattici presenti nel lievito madre, per esempio, producono anche enzimi supplementari che amplificano la degradazione degli amidi. Il rilascio progressivo di zuccheri alimenta il metabolismo del lievito in modo regolare, senza picchi improvvisi. Se le amilasi forniscono nutrimento al lievito, le proteasi si occupano della reologia dell’impasto. Le proteine principali della farina di grano, gliadina e glutenina, si uniscono in presenza d’acqua formando la maglia glutinica, una rete viscoelastica capace di intrappolare il gas prodotto durante la fermentazione. Questa rete, nelle fasi iniziali, tende ad essere troppo rigida, tenace, poco estensibile. Le proteasi entrano quindi in azione per rompere selettivamente alcuni legami peptidici, rendendo la struttura più duttile e plastica, senza compromettere la sua capacità di trattenere il gas.
Una maglia glutinica ben modulata consente all’impasto di espandersi in modo controllato, evitando rotture e deformazioni. Il risultato si manifesta nella regolarità dell’alveolatura, nella leggerezza della mollica, nella stabilità strutturale durante la cottura. Ma l’effetto delle proteasi non è solo meccanico: gli amminoacidi liberi prodotti dall’idrolisi proteica svolgono un ruolo fondamentale nello sviluppo aromatico. Pur non rendendo il prodotto adatto ai soggetti celiaci, questa trasformazione contribuisce a ridurre il carico proteico indigerito, migliorando la tolleranza gastrica e intestinale. Questo effetto si amplifica nei prodotti a lunga fermentazione naturale, dove l’azione dei batteri lattici non si limita alla fermentazione degli zuccheri, ma estende la sua attività anche alla degradazione di peptidi potenzialmente pro-infiammatori.
Un discorso parallelo va fatto per i FODMAP, zuccheri a corta catena notoriamente mal assorbiti a livello intestinale, che nei soggetti predisposti (come chi soffre di colon irritabile) possono causare fermentazioni indesiderate, gonfiore e dolore addominale. I fruttani, in particolare, sono i FODMAP più rilevanti nella farina di grano. Anche in questo caso, una maturazione enzimatica adeguata e prolungata - soprattutto con lievito madre - porta a una loro parziale degradazione, riducendo l’impatto sul tratto intestinale. La conseguenza è una maggiore tollerabilità del prodotto, ottenuta non con artifici tecnologici, ma attraverso un processo naturale, sostenuto da enzimi e tempo.
Infine, è importante sottolineare che l’attività di questi enzimi - amilasi e proteasi - non si attiva in modo automatico: è il panificatore o il pasticcere a dover creare le condizioni ideali affinché possano operare efficacemente. Temperatura, tempo, idratazione, pH, scelta della farina, tecnica fermentativa: tutto concorre a definire il profilo enzimatico dell’impasto. Una fermentazione ben condotta non è solo un processo microbiologico, ma un equilibrio tra cinetica enzimatica e dinamica metabolica, che trasforma una miscela di farina e acqua in un alimento vivo, complesso e pienamente gastronomico.
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