Pizza degli Apostoli: Storia e Ricetta di un Simbolo Romano

Parlare di ricette tradizionali non è mai facile. Per loro natura i piatti evolvono, cambiano, si contaminano, fotografie di momenti storici e culture diverse in un dato momento. E proprio mentre il Governo sta studiando con un decreto il certificato di Made in Italy, rimane comunque lasciato all’interpretazione il concetto di ricetta tradizionale. Punto di partenza o di arrivo? Chi decide cosa è rappresentativo di un paese e perché? Non di certo le tante le classifiche di dubbia provenienza, come quella caricaturale di TasteAtlas che sembra stilare queste liste gastronomiche sulla base di algoritmi che studiano le recensioni degli utenti su Google. Né tantomeno i media stranieri, più attenti alle valutazioni dei turisti che al dato locale.

Introduzione alla Pizza degli Apostoli

La Pizza degli Apostoli è una specialità romana ricca di storia e tradizione. Con ingredienti freschi e sapori autentici, rappresenta l'arte culinaria della capitale, celebrando la convivialità.

Origini e significato della pizza

La Pizza degli Apostoli ha radici profonde nella cultura culinaria italiana, in particolare nella tradizione romana. La sua origine è spesso collegata alle antiche usanze contadine, dove la pizza rappresentava un pasto povero ma ricco di sapore. Nelle famiglie romane, preparare la pizza era un modo per riunire la comunità, celebrando la convivialità e il legame tra le persone.

Il significato della pizza va oltre il semplice cibo: essa simboleggia la condivisione e l’amore per la cucina autentica. La preparazione della pizza, che coinvolge ingredienti freschi e genuini, riflette la passione dei pizzaioli e la loro dedizione alla tradizione. Inoltre, la Pizza degli Apostoli è spesso vista come un omaggio agli apostoli stessi, rendendo omaggio ai valori di unità e fraternità. In questo contesto, la pizza diventa un simbolo di identità culturale, unendo generazioni attraverso il tempo e le ricette tramandate. Ogni morso racconta una storia di tradizione e sapore.

Il legame con la tradizione romana

La Pizza degli Apostoli affonda le radici nella tradizione gastronomica romana, una cucina che celebra la semplicità e la qualità degli ingredienti. Questo piatto è un simbolo della convivialità tipica della capitale, dove le famiglie si riuniscono attorno a un tavolo per gustare preparazioni genuine. La storia della pizza a Roma è legata ai forni a legna, che conferiscono un sapore unico e inconfondibile.

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La Pizza degli Apostoli, in particolare, richiama l’attenzione per la sua forma e per il suo impasto, spesso arricchito con ingredienti freschi e locali. La tradizione vuole che venga condivisa durante occasioni speciali e feste, rendendola un elemento fondamentale della cultura culinaria romana. La preparazione della pizza è un momento di aggregazione, dove le ricette vengono tramandate di generazione in generazione, mantenendo viva l’identità gastronomica della città. Ogni morso racconta una storia di passione e dedizione, rendendo ogni pizza un capolavoro di sapori.

Ingredienti della Pizza degli Apostoli

Per preparare la Pizza degli Apostoli, è fondamentale utilizzare ingredienti freschi e di qualità. Farina, acqua, lievito, sale e olio d'oliva sono alla base, per un impasto ideale e saporito.

Ingredienti fondamentali per l’impasto

Per preparare l'impasto della Pizza degli Apostoli, è fondamentale utilizzare ingredienti di alta qualità. Gli ingredienti principali includono:

  • Farina di grano tenero: La scelta della farina è cruciale, poiché deve essere ricca di glutine per garantire una buona lievitazione e una consistenza morbida.
  • Acqua: L'acqua deve essere a temperatura ambiente, poiché influisce sulla corretta attivazione del lievito e sulla consistenza dell’impasto.
  • Lievito di birra: Utilizzato per far lievitare l'impasto, può essere fresco o secco. È importante scioglierlo in acqua prima dell'uso.
  • Sale: Essenziale per esaltare i sapori, deve essere aggiunto con attenzione per non inibire l'azione del lievito.
  • Olio d'oliva: Aggiunto per conferire sapore e morbidezza all’impasto.
  • Zucchero: Facilita la fermentazione e contribuisce alla doratura della crosta durante la cottura.

Questi ingredienti, combinati in modo equilibrato, daranno vita a una base perfetta per la tua pizza.

Condimenti tradizionali e varianti regionali

La Pizza degli Apostoli si distingue per la semplicità e la freschezza dei suoi condimenti. Tra i più tradizionali troviamo la mozzarella di bufala, il pomodoro San Marzano e il basilico fresco, che insieme creano un equilibrio di sapori inconfondibile. Altre varianti regionali possono includere ingredienti come il prosciutto crudo, i funghi porcini o le alici salate, che arricchiscono ulteriormente il piatto con gusti più intensi e aromi unici. In alcune zone, è comune aggiungere olive nere o capperi, esaltando il legame con le tradizioni mediterranee.

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Ogni regione ha le sue peculiarità, ma l'essenza della Pizza degli Apostoli rimane invariata: un'armonia di ingredienti freschi e genuini. Questo piatto non solo è un simbolo della gastronomia romana, ma rappresenta anche un viaggio attraverso i sapori delle diverse terre italiane, rendendo ogni morso un'esperienza ricca di storia e cultura. Scoprire le varianti locali è un modo per apprezzare la diversità della cucina italiana.

Ricetta per preparare la Pizza degli Apostoli

Per preparare la Pizza degli Apostoli, inizia con un impasto semplice, utilizzando farina, acqua, sale e lievito. Lascia lievitare, poi stendi l'impasto e aggiungi i condimenti preferiti.

Procedimento dettagliato per l’impasto

Per preparare l’impasto della Pizza degli Apostoli, inizia mescolando 500 grammi di farina 00 con 300 millilitri di acqua tiepida in una ciotola capiente. Aggiungi 10 grammi di sale e 3 grammi di lievito di birra disidratato. Impasta con le mani o con un robot da cucina fino a ottenere una consistenza liscia e omogenea.

Una volta che l’impasto è pronto, forma una palla e mettila in una ciotola leggermente unta d’olio, coprila con un canovaccio e lascia lievitare in un luogo caldo per circa 2 ore, o fino a quando raddoppia di volume. Dopo la lievitazione, riprendi l’impasto e lavoralo brevemente su una superficie infarinata, quindi dividilo in porzioni da 250 grammi. Forma delle palline e lasciale riposare ancora per 30 minuti. Questo passaggio è fondamentale per ottenere una pizza soffice e ben lievitata. Ora il tuo impasto è pronto per essere steso e condito come preferisci, dando vita alla tradizionale Pizza degli Apostoli.

Modalità di cottura e consigli utili

Per cuocere la Pizza degli Apostoli in modo ottimale, è fondamentale preriscaldare il forno a 250°C, garantendo così una cottura veloce e uniforme. Utilizzare una pietra refrattaria, se disponibile, può migliorare la croccantezza della base. Stendere l'impasto su una superficie infarinata, mantenendo uno spessore di circa 5 mm per ottenere una pizza leggera ma gustosa. Trasferire la pizza su una teglia o una pala infarinata prima di infornarla, per facilitare il passaggio in forno.

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Cuocere per 10-15 minuti, osservando il dorato del bordo. A metà cottura, ruotare la pizza per garantire una cottura omogenea. Se si preferisce una crosta più croccante, aumentare la temperatura finale o prolungare leggermente il tempo di cottura. Infine, per esaltare i sapori, aggiungere ingredienti freschi come basilico o olio d'oliva a crudo una volta sfornata.

Pizza e Innovazione: un binomio in crescita

Affatto scontata, la pizza è territorio dove la sperimentazione e l'innovazione sta trovando terreno fertile allo scopo di portare questo prodotto al livello e dignità di tante altre ricette italiane. Lo chef Enrico Marmo, alla guida del ristorante I Balzi Rossi a Ventimiglia, non ha alcun dubbio: la ricetta più italiana di sempre è la pizza. E come dargli torto. “Il piatto italiano per eccellenza, per me, è la pizza. Perché ci rappresenta, è di facile interpretazione e può essere preparata in infiniti contesti e declinazioni. Può essere popolare e raffinata allo stesso tempo. La mia preferita è la margherita, alla romana, con un impasto realizzato con farine poco raffinate, come le tipo 2 o semi-integrali”.

Ventisette, tanti sono i pizzaioli che dal 2008 a oggi sono stati relatori (o stanno per esserlo, l’appuntamento è per lunedì 7 marzo) a Identità Golose, senza contare quei cuochi, come Massimiliano Alajmo nel 2013, e quei pasticcieri, penso ad esempio a Corrado Assenza, che hanno condiviso il tema pizza con i loro colleghi apostoli di margherite e calzoni. Il dato colpisce me per primo perché sono nato e vivo in una città, Milano, che non ha mai prestato tanta attenzione alla pizza pensata, preparata e cotta bene. Capolavoro della tradizione napoletana prima e italiana nel tempo, ma pur sempre un gioiello di cucina povera, da strada e disperazione.

La pizza ha fatto capolino per la prima volta a Identità Milano addirittura otto anni fa grazie a Simone Padoan dei Tigli di San Bonifacio vicino Verona. Era il 2008, edizione numero 4. Eravamo ancora nella sede storica del Palazzo della Borsa in piazza Affari e il titolo dell’intervento oggi suona profetico: La farina, il lievito e la sensibilità dello chef: il connubio ideale per una pizza d’autore. Notare bene: chef, e non pizzaiolo. Che i vari Padoan, Coccia e Pepe meritino la stella, lo pensano in tanti oggigiorno in Italia, anche perché non sfugge il fatto che la Michelin premi i gastropub nel Regno Unito e il cibo di strada in Asia, cos’hanno in meno i nostri maestri pizzaioli? Nulla, però ai francesi, trattandosi di pizza e di Italia, scatta il complesso di superiorità e diventa tutto maledettamente più complicato.

Padoan a Milano nel 2008 può essere considerato una rondine isolata. La primavera sarebbe arrivata tre anni dopo, nel 2011, quando decidemmo che la pizza avrebbe inaugurato la settima edizione. Sul palco dell’auditorium salirono Gino Sorbillo, Luigi Dell’Amura con Gennaro Esposito e Simone Padoan. Tutti loro usarono gli stessi ingredienti, soprattutto mozzarella e pomodoro, ma in forme e stili completamente diversi. Sorbillo e Padoan ci saranno anche tra un settimana e con loro Renato Bosco, Enzo Coccia, Massimo Giovannini, Tony Nicolini, Franco Pepe, Christian Puglisi, Lello Ravagnan e Giuseppe Rizzo.

La Stella Michelin e la Pizza: un sogno impossibile?

Per quale motivo a nessuna pizzeria è stata assegnata una stella Michelin, si tratti di quella tradizionale oppure della nuova stella verde che designa una particolare attenzione ai temi della sostenibilità? Gli addetti ai lavori se lo aspettano da tempo, ma la guida rossa per eccellenza sembra non voler ascoltare ragioni. Si sa, anche se spesso per vanità di qualcuno su questo particolare si glissa, le stelle vengono assegnate da Michelin ai ristoranti (e non ai cuochi). Non è improbabile, a voler essere un po’ polemici, che si tratti del fatto che proprio perché nel territorio della casa madre quella della pizza non è neppure lontanamente una tradizione consolidata come da noi. In buona sostanza, non potendolo fare lì, non ci si accorge di quello che succede in Italia.

Al di là di questi aspetti per certi versi campanilistici, anche i cuochi che operano come gli chef di ristoranti ‘stellati’ guardano con grande attenzione alla realtà della pizza, anche perché si tratta di un business interessante e a volte anche di un’importante integrazione all’attività come possono essere i ‘bistrot’ firmati.

E allora ecco da un lato le iniziative estemporanee di cui è stato pioniere ormai diversi anni fa Denis Lovatel con il suo format In-Fusion, 12 pizze che nel corso di un anno sono state realizzate con il topping di cuochi di calibro: la Pu’er (dall’omonimo tè) è stata la miglior pizza in un’edizione del Gambero Rosso. Dall’altro lato le iniziative stabili che vedono protagonisti i grandi nomi e le pizza. Accade soprattutto a Milano, a partire da Cracco e dalla sua Margherita che a suo tempo ha creato polemiche a non finire, dal prezzo (ora 22 euro), all’aspetto estetico, al suo discostarsi rispetto ai sacri crismi della tradizione partenope. Del resto, questa pizza croccante e peraltro molto buona, viene servita in Galleria Vittorio Emanuele a Milano al bistrot del grande cuoco vicentino.

Sempre nella metropoli lombarda sono recentemente approdati i fratelli Cerea con una costola della loro prestigiosa ‘macchina da guerra’ della ristorazione: il DaV si trova nella Torre Allianz al primo piano e qui, accanto alla loro idea di comfort food di altissimo livello, si trova una pizza i cui impasti sono stati pensati da Alessio Rovetta in tre versioni, dalla napoletana al vapore, alla pala. La margherita è venduta a 25 euro. Non poteva mancare Massimiliano Alajmo, il quale, amante della pizza, ne ha realizzato ormai sei anni fa due brevetti, una al vapore partendo dallo studio della napoletana per rendere la sua piccola, in versione sia croccante sia soffice e il più leggera e digeribile e quello che ha chiamato Mask.Calzone. Si assaggiano insieme a tante altre cose golose da Amor, locale disegnato da Philippe Starck che si trova dentro il campus di H-Farm a Roncade nel trevigiano.

A Verona, nel cuore del centro storico, c’è invece il Du De Cope, pizzeria alla quale ha dato vita nel 2004 lo chef Giancarlo Perbellini, prossimo artefice della cucina di un locale dalla lunghissima storia come il 12 Apostoli. Tre sono i tipi di impasti: con farina di frumento per le pizze classiche, farina di frumento e cereali per ‘quelle dello chef e lo stesso ma in forma differente per le schiacciate. Va da sé che il minimo comun denominatore è l’altissima qualità degli ingredienti dedicati alle farciture. La pizzeria firmata da un altro grande chef creativo come Alessandro Gilmozzi di El Molin si trova a Cavalese nell’antico Palazzo Riccabona, con il Palazzo della Magnifica Comunità di Fiemme davanti e il Rio Gambis a fianco. Pizze classiche oppure gourmet, realizzate con l’abituale cura del cuoco trentino, con lievito madre, impasti a base di farine macinate a pietra e 72 ore di lievitazione.

A questo punto sorge però spontanea la domanda: perché non riconoscere con una stella il valore di uomini come Simone Padoan e Franco Pepe? Uno nel veronese e l’altro nel casertano, spiriti estremamente differenti ma accomunati da un’idea di qualità fuori dal comune che ha portato il mondo della pizza in un alveo molto prossimo a quello dell’alta cucina, sia per la ricerca continua con cui mettono in atto le loro creazioni, sia per il livello gastronomico e di servizio raggiunto dai loro locali.

Altre "Dita degli Apostoli"

Stesso nome, stessa forma per dolci della tradizione popolare appartenenti a territori diversi, accompagnati da leggenda romantiche, preparati e serviti secondo tradizione in occasione di feste e ricorrenze speciali. In Puglia, le dita degli apostoli sono delle frittatine dolci molto sottili (simili a delle crepes) farcite con ricotta, zucchero e cacao amaro in polvere, arrotolate e spolverate di zucchero a velo e cannella. La ricetta appartiene alla tradizione contadina delle zone di Capitanata, di Bari e del Salento, risale alla metà del XIX secolo e le vuole preparate e consumate in occasione del Carnevale (ma anche della Pasqua).

La ricetta contemporanea “permette” tuttavia di utilizzare non solo gli albumi - come tradizione imporrebbe - ma anche uova intere (ottenendo così un impasto più corposo e decisamente più giallo e una maggiore consistenza tipica della frittata). Localmente sono chiamate anche cannelloni dolci di carnevale proprio per la loro tipica forma di cannolo farcito e arrotolato. L’impasto delle frittatine è aromatizzato con la scorza di limone grattugiata e liquore dolce profumato (tipo Strega, San Marzano o rum) e, dopo la cottura, vengono lasciate riposare. Solo successivamente sono farcite con la ricotta vaccina, precedentemente setacciata zuccherata e miscelata con il cacao amaro in polvere, fatta riposare in frigorifero, poi spolverizzate con zucchero aromatizzato alla cannella e servite fredde. Non mancano ovviamente le variazioni: cioccolato in scaglie invece del cacao amaro, vaniglia al posto della cannella, scorza d’arancia invece che di limone.

Con il nome dita degli apostoli, come detto, sono indicate ricette differenti tra loro per territorialità; stessa forma, infatti, per le dita degli apostoli preparate in Calabria e in Sicilia in occasione della festa dei morti. La versione calabrese - jiriti d'apostolu - ha addirittura ottenuto il riconoscimento PAT (Prodotto Agroalimentare Tradizionale) da parte del Ministero delle Politiche agricole e forestali. Dietro la nascita di questo dolce calabrese ci sarebbe, secondo la tradizione, uno scopo romantico; anche per le dita degli apostoli, infatti, la storia si intreccia con la leggenda che parla di amore e devozione. Si narra che un pasticcere di Bagnara, piccolo borgo nel reggino, realizzasse queste piccole dolci delizie per gli amanti che le scambiavano come doni e manifestazione d’amore.

Le dita dolci degli apostoli nel palermitano vengono invece chiamate al singolare - Dito d’Apostolo - e sono fatte fatti di una pasta all’uovo soffice molto simile ad un pan di spagna sottilissimo e spumoso, farcita con una crema vellutata di ricotta e panna aromatizzata con la cannella.

Dita d'apostolo: la ricetta

"Montare i tuorli con 40 g di zucchero, la scorza di limone e i semini di vaniglia, fino ad ottenere un impasto spumoso. A parte, montare anche gli albumi a neve e i 50 g di zucchero rimasti. "Incorporare il composto con tuorli e zucchero agli albumi montati. "Cuocere per 15/20 minuti in forno a 170 °C. Fare raffreddare i cilindri e -con l’aiuto di un bastoncino a cilindro - svuotare l’interno, riempire con crema e glassare".

I 13 Apostoli: la pizza di recupero

Nel cuore della Calabria, vicino a Capo Rizzuto, lo chef Raffaele Vitale ci da una risposta netta e precisa, recuperando un piatto che forse non tutti conoscono: i 13 Apostoli, ricetta di recupero che ben rappresenta la tradizione contadina italiana anti spreco. “È un piatto antichissimo risalente al 1600, tradizionale del Sud d’Italia, inventato da un cuoco frate francescano. Consiste in 13 elementi tutti di recupero (una sorta di svuota frigo ante litteram), tra cui pasta secca, tutti shakerati - da più persone - in una grande damigiana”. Lo chef Raffaele Vitale continua: “Tengo molto a questo piatto, oltre che per la mia profonda vocazione alla sostenibilità e al riutilizzo, proprio per l'importanza del gesto (anche scenico) di mescolare e amalgamare tutti gli ingredienti da parte di più partecipanti.

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